4.2.2 Ritratto di una poligrafa


Laura è al secondo anno di formazione. Sta seguendo una formazione professionale di base come poligrafa a Lugano. Visto che a novembre il suo formatore andrà in pensione, ha pensato di invitarla a bere qualcosa. Prima di tutto le chiede di dargli del «tu». Quindi Laura gli chiede di raccontarle come si lavorava ai tempi in cui ha cominciato lui. «Ho cominciato a Bellinzona, nel 1950», racconta Paolo. «Ovviamente molte cose erano diverse, però il nostro mestiere ha una lunga tradizione e nonostante tutti gli sviluppi tecnici in fondo è rimasto lo stesso.»

«Lo so», dice Laura con un sorriso malizioso, «Nel 1440 Gutenberg ha inventato la stampa segnando un punto di svolta per la comunicazione. Gli sviluppi successivi hanno fortemente influenzato l'evoluzione intellettuale dell'umanità. Ce l'hanno insegnato alla scuola professionale.»

«Quindi, sicuramente sai anche che, a quei tempi, in Cina e in Corea si stampava già da un pezzo. Già nel XI secolo, un cinese aveva creato dei caratteri in creta. Nella Cina del Trecento si usavano caratteri in legno mentre nella Corea del Quattrocento caratteri in rame.»

«L'11 maggio dell'868 Wang-Chieh stampò il primo libro “Diamant-Sutra” con tavole di legno in onore dei suoi genitori. Ma com'era ai tuoi tempi, all'epoca della “gioventù bruciata”, negli anni Cinquanta?»

«Però… sei stata attenta a scuola! Innanzitutto vorrei che tu sapessi che ai tempi della mia formazione i tipografi andavano al lavoro con la cravatta. La cravatta esprimeva fiducia in se stessi e dignità professionale. Eppure ci consideravamo operai, ben organizzati nei sindacati, nella Typographia. Così, molto presto fu introdotta, prima, la settimana di 44 ore, poi quella di 42 e infine, negli anni Settanta la settimana lavorativa di 40 ore. Inoltre la mia formazione aveva molto a che fare con Gutenberg. Io ho imparato ancora la composizione a mano: sceglievo i caratteri dalla cassa tipografica e li posavo nella matrice.»

«Mia madre ha una vecchia cassa tipografica», dice Laura «ci tiene le cose piccole che ha collezionato. Ma a quei tempi, la nostra professione era ritenuta un'arte, si parlava di arte tipografica. E oggi lavori col computer; ne hai visti di cambiamenti dalla cassa tipografica a oggi!»

«Non ho lavorato a lungo con la tecnica della composizione a mano. Già allora si imparava a usare la compositrice meccanica. Negli anni Sessanta poi ho fatto un esame e ho lavorato su una vecchia – a quei tempi modernissima – Linotype. Prima si doveva fondere il piombo, e così la macchina formava le singole righe del testo.»

«Ma come facevate con le correzioni? Se c'era un errorino dovevate rifare tutta la riga?»

«Proprio così. Componendo le singole righe sull'enorme tastiera, che aveva i caratteri disposti in modo completamente diverso dalle tastiere di oggi, bisognava cercare di fare il minor numero di errori di battitura possibile. C'erano tasti speciali anche per le minuscole e per ogni singolo segno tipografico.»

«Quindi con l'arrivo del computer hai dovuto ricominciare da zero. A pensarci bene, hai dovuto imparare un nuovo mestiere ben quattro volte, prima la composizione a mano, poi la composizione meccanica, la fotocomposizione e adesso la stampa digitale. Non hai fatto fatica? E i tuoi coetanei, sono in molti ad essere sopravvissuti a tutti questi cambiamenti?»

«L'ultimo grande cambiamento è avvenuto negli anni Ottanta. Alcuni dei miei colleghi non sono riusciti ad abituarsi al nuovo lavoro. Un mio collega, per esempio, è passato a fare il portinaio alle scuole, nel paesino dove abito io. I cambiamenti, li ho sempre visti come una nuova sfida. Molte cose sono state semplificate. Grazie alla stampa digitale, oggi la stampa a quattro colori è a un prezzo abbordabile. Il poligrafo deve sapersi arrangiare nell'elaborazione delle immagini, cosa che per decenni era nelle mani degli stereotipisti. D'altra parte non deve praticamente più comporre testi lunghi, dato che di solito gli autori li forniscono già in formato digitale o li inviano per posta elettronica. Ma in fondo il nostro mestiere è rimasto lo stesso. La qualità del lavoro, l'impaginazione che richiede capacità creative, buone conoscenze linguistiche, collaborazione con altri professionisti, come gli stampatori o i redattori; in fondo questo non è cambiato.»

Laura riflette un po' e dice «Dal 1950 al 1999, quasi cinquant'anni che hanno completamente cambiato una professione, ma che in fondo è rimasta la stessa. Non so se lavorerò come poligrafa così a lungo e, se come te, riuscirò mai a stare al passo con i cambiamenti sempre più rapidi.»

«Questo non può saperlo nessuno. Tu dovrai sicuramente seguire corsi di formazione continua, ancora più di quanto non ne abbia fatti io, ma non devi dimenticare che tutti questi cambiamenti hanno fatto la lunga storia della nostra professione, della nostra arte. Poi, una volta superato l'esame finale, una volta superato il rito di fine apprendistato, per cui ti si butterà nella fontana e ti si consegnerà una lettera, anche tu farai parte di questa storia e rendendotene conto avrai una base più solida. Ai miei tempi non c'erano praticamente ragazze che imparavano questa professione, oggi invece la metà delle persone in formazione sono ragazze. Questa è una novità. Ma per finire ti vorrei dire ancora una cosa. Ai tempi, se i tipografi non erano d'accordo con il redattore, inserivano i loro commenti tra parentesi, si faceva così: aperta la parentesi, l'opinione in breve, virgola firmato “il tipografo”, chiusa la parentesi. Così poi finiva sul giornale; era espressione di una tradizione, di dignità e di indipendenza. Se assumi questo atteggiamento e segui la tradizione come rappresentante del nostro mestiere, ne trarrai beneficio anche nella vita privata.»

«Che ne dici se andassimo più spesso a bere qualcosa dopo il lavoro?» dice Laura proponendo un brindisi…







 

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